Tra Ares e Afrodite: viaggi e storie
dal Mediterraneo al Mar Nero Comprare il libro
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"Studiando e viaggiando dal Mediterraneo verso Oriente – i libri suggeriscono i viaggi e i viaggi integrano i libri con l’esperienza personale – ho registrato il filo rosso di sangue e sofferenza che traspare da luoghi di una bellezza stupefacente, luoghi che amo e in cui sento presenti le mie vere radici. E’ ben vero che “più si conosce più si comprende”. E’ nato così il mio intenso “Tra Ares e Afrodite: viaggi e storie dal Mediterraneo al Mar Nero”, per il quale rimando a una scheda a parte." Claudia
Indice
Parte I Dal Bosforo di Tracia al Bosforo di Cimmeria:
Gallipoli 1915: l’antica menzogna (Viaggio a Gallipoli e nella Troade).
Alle pendici del Mussa Dagh (Viaggio nell’Hatay).
La fontana di Bahçesaray (Viaggio in Crimea).
Parte II Grecia: L’invisibile geometria
Et in Arcadia ego (Viaggi nel Peloponneso).
Sui sentieri delle Montagne Bianche (Viaggio a Creta).
I segreti del Dodecaneso (Viaggi nell'Archipelago)
Parte Terza Convivenze perdute?
Elogio della Diversità (Viaggio ad Antiochia).
Quale memoria? (Viaggio ad Alessandria d’Egitto).
Viaggiando a lungo tra il Mediterraneo e il Mar Nero ho cominciato a sentire intensamente - con l’avanzare della mia età e l’interesse per la Storia - il contrasto tra la bellezza stupefacente dei luoghi e l’incessante storia di guerre, deportazioni, sangue di cui le terre che su questi mari si affacciano sono intrise. Una Storia che non può essere giustificata dall’insensato termine “scontro di civiltà” e tantomeno esorcizzata dalla dicotomia buoni-cattivi, civiltà-barbarie, ma che testimonia piuttosto la perdurante voragine di oscurità presente nell’animo umano.
Tuttavia, la natura cancella le tracce della distruzione con la sua generosa noncuranza, con il suo incessante, misterioso rigoglio, e in ogni circostanza la sublime virtù dell’uomo che è la capacità di cogliere la bellezza, di creare un sogno, elevandosi al di sopra della contingenza anche nelle circostanze più tragiche e trovando un senso più alto anche nell’avversità e nella disperazione, sono una traccia che spesso – in questi luoghi che amo – ho percepito in modo palpabile: un riflesso cangiante ma persistente, che mi consola mentre seguo il filo rosso registrando lo scoraggiante, continuo ripetersi di conflitti, di aggressioni e prevaricazioni, di morti violente, di tragici sradicamenti. Un riflesso che avvolge e ricrea questi eventi nella trama impalpabile di chi li ha interpretati con il linguaggio dell’arte, additando un disegno trascendente anche nell’oscurità, nella tragedia. Che non siano, l’arte stessa e la cultura che la coltiva, la trascendenza, l’Altrove? Perché la cultura - se è veramente tale - mette al centro l’uomo, e l’arte sublima il dolore e lo trasforma in canto.
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La penisola di Gallipoli, scenario di uno dei peggiori massacri della prima guerra mondiale, dalla costa della Troade mi appare da lontano con un indistinto biancheggiare all’orizzonte, come una ferita chiara scavata in un boscoso promontorio, oltre uno stretto braccio di mare azzurro sbiadito nella leggera foschia di una chiara mattina autunnale. Gallipoli, elusivo appuntamento, è per me al tempo stesso punto di partenza e meta di un viaggio lungo la Storia del Mediterraneo, che tuttavia inizia, riecheggia e ritorna su se stesso in prevalenza nell’Egeo. Inciampo ancora una volta nell’annosa domanda: da dove cominciare? Il cammino fin qui mi appare chiaro, a posteriori, ma le domande si moltiplicano perché non amo vagare a caso: ho bisogno di un senso. E tuttavia il senso di questo mio andare, che non è un’erranza ma nasce sui libri e cerca conferme nei luoghi, mi porta questa volta ad affrontare un incontro più ambizioso, difficile e in certa misura anche personale, mentre la mia gioventù quasi impercettibilmente si è ormai consumata. Quest’aria autunnale e l’identificazione che mi suggerisce è serena, sfrondata dagli ardori dell’estate, ma vi indugia ancora una luminosità così chiara che par quasi primavera mentre il ferry solca l’Egeo che come un tessuto di seta cangiante risponde con un fruscio quasi impercettibile.
Il ferry porta scritto su una fiancata il nome Lapseki, evocando la greca Lampsaco che sorge sulle sponde del vicino mar di Marmara e, sacra nell’antichità a Priapo e a suo padre Dioniso, era celebre per il suo vino. Un gruppo di musicisti a bordo suona sul ponte scoperto vivaci melodie tradizionali e un paio di ragazze ballano sfrenate al ritmo. L’isola di Tenedo-Bozcaada che il Lapseki collega con la terraferma della Troade è ormai alle mie spalle, con l’intenso odore del mosto che fermenta nelle sue cantine. Attività, quella della produzione del vino, che la rese famosa in passato quanto Lampsaco, e la cui tradizione in parte continua ancora oggi, avendo i turchi appreso quest’arte dai conterranei greci. Nel pianeggiante entroterra dell’isola, tuttavia, molti filari di viti inselvatichiscono tra erbe che crescono incontrollate perchè in quest’isola la presenza dei greci è ormai ridotta a poche, tenaci famiglie. Assegnata all’impero ottomano come la vicina Imbros-Gokceada perché la sua posizione strategica all’imbocco dei Dardanelli era ritenuta essenziale per la difesa dello Strettoi, nel Trattato di Losanna del 1923 fu esentata dallo scambio greco-turco di popolazioni che aveva la funzione di creare stati monoetnici.
Ma nel ricco mosaico di quello che un tempo fu il multietnico impero ottomano come si poteva privilegiare una popolazione a scapito di un’altra? La Storia, in questo ponte di passaggio fra Europa e Asia è, più che in altri luoghi, storia di guerre, e i suoi abitanti sono sempre stati le pedine di questi giochi di potere.
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