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Donne e conoscenza storica
Claudia Berton, Sulle vie del Levante. Alla ricerca di lady Hester Stanhope, Roma, Stampa Alternativa, 2003 di Giulia Gentile Claudia Berton è nata come viaggiatrice leggendo la letteratura dei viaggiatori inglesi dell’Ottocento. Questa passione letteraria l’ha portata, da cultrice della lingua inglese, ad interessarsi del mondo islamico e mediorientale, verso cui la portano i suoi frequenti viaggi alla ricerca delle tracce dimenticate di culture sincretiche. Un viaggio letterario ed esistenziale, il profondo convincimento che l’ibrido è la regola e non l’eccezione. Una scrittura splendida e suggestiva che ci ricorda le Città invisibili di Calvino. Ai primi dell’800, negli stessi anni di Byron e Shelley, lady Hester Stanhope, nipote del primo ministro Pitt, lascia l’Inghilterra diretta a oriente per approdare alle selvagge montagne libanesi, dove diventerà una leggenda vivente: la “Sibilla del Libano”. Ricostruendo la vicenda di questa donna eccezionale nelle biblioteche veneziane e londinesi, nei libri dei viaggiatori inglesi, tra le rovine delle antiche città siriane, Claudia Berton scopre e disegna l’affresco di un’epoca in cui Oriente e Occidente s’incontrano sullo sfondo di un Mediterraneo brulicante di spie, disertori, archeologi, poeti e avventurieri.Mi ha fatto un grande piacere scoprire che per un’altra donna di “oggi” come per me l’incontro con una viaggiatrice di “ieri” era stato fondamentale per la scoperta di un nuovo e più profondo sé, e per il sorgere di una genuina passione verso gli studi mediorientali: come per me grazie all’italiana Cristina di Belgiojoso, per Claudia Berton un altro ciclo di studi e di vita si è aperto dal 1991 grazie alla figura singolare di lady Hester Stanhope, britannica di nascita ma per larga parte della sua esistenza spirito nomade nei paesi del Medioriente.E’ alla biografia di questa donna, fra le prime ad intraprendere la via del viaggio come occasione di riscatto individuale e di genere, che è dedicato Sulle vie del Levante, libricino piacevole e corredato di immagini pubblicato nel 2003 da Stampa Alternativa. Il saggio ripercorre la vita di lady Hester dalla nascita nella residenza di famiglia nel Kent (1776), all’infanzia, alla maturazione in lei del desiderio di lasciare l’ambiente aristocratico britannico percepito come ristretto ed ipocrita per aprirsi al viaggio, prima in Europa come nell’ormai consolidata tradizione del Grand Tour, e poi in Oriente. Lasciata l’Inghilterra nel 1810, la donna raggiungerà la Grecia ottomana con un cospicuo ed organizzatissimo seguito di servitori e bagagli, per poi attraversare la Turchia, l’Egitto, la Terra Santa, e giungere infine in Siria intorno al 1814. Presa residenza stabile nel vecchio convento di Mar Elias e dagli anni ’20 nella roccaforte libanese di Djoun, lady Stanhope sancirà così la fine del periodo “nomade” della sua esistenza, muovendosi negli anni a seguire solo per escursioni occasionali e non facendo deliberatamente mai più ritorno alla sconfessata madrepatria. Sulle tracce della memoria e di ciò che di lei restava più di un secolo e mezzo dopo la sua morte (avvenuta a Djoun in un volontario e totale isolamento nel 1839), la Berton ha ripercorso le stesse tappe dell’itinerario della viaggiatrice avendo come guida alle vie del Levante le memorie del medico personale e fedele compagno di avventure di lady Hester, il dottor Meryon. E’ su queste pagine che l’autrice traccia pure il rilevante profilo intellettuale e d’azione sociale della donna, la sua dedizione allo studio della medicina mediorientale, il costante sostegno alla causa dei popoli oppressi in un’area come quella libanese devastata già allora da violenti conflitti interetnici e religiosi, come da forti interessi coloniali. Anche per questo le memorie della donna sono fondamentali: esse aprono uno sguardo altro su di una realtà che invade le cronache internazionali di ogni giorno, aiutandoci a riflettere su di essa con maggiore spregiudicatezza ed apertura perché “proprio sulle vie del Levante mentre lady Hester le percorreva, si possono rintracciare le estremità dei fili che, intrecciandosi e combinandosi in una miscela esplosiva, ci hanno portato inevitabilmente alla conflagrazione di oggi” (1). Oltre che importante fonte di testimonianza diretta degli intrighi internazionali e dei conflitti locali in campo nel Medioriente dell’Età dell’Imperialismo, le memorie su lady Hester gettano anche uno sguardo di genere (si potrebbe dire quasi “suo malgrado”, vista la dichiarata antipatia generale della donna nei confronti delle rappresentanti del suo stesso sesso!) sulla condizione femminile nei Paesi musulmani. Come sottolineerà la già citata Belgiojoso solo qualche decennio dopo nelle memorie della sua permanenza in Turchia (1850-1855), anche lady Stanhope nota per voce del dottor Meryon quanto il così decantato stato di sottomissione della donna musulmana fosse più apparente che sostanziale, e al tempo stesso come la sua natura femminile le consentisse l’accesso alla più intima socialità dei paesi islamici racchiusa nel microcosmo dell’harem. Aldilà dell’importanza personale che la figura della Stanhope può aver avuto nella formazione della Berton, inserirei quindi Sulle vie del Levantenell’ambito di quella bibliografia finalmente crescente negli ultimi decenni volta a sottolineare la peculiarità delle esperienze di viaggio delle donne nell’Ottocento. Ciò che di loro ci rimane sottolinea, infatti, quanto la loro visione del mondo altro sia ben lontana dal poter essere sottoposta ad una “hegemonic and homogeneously patriarchal tradition” (2): per lady Stanhope, come per molte altre donne che presero la via del Levante negli stessi decenni, le regioni attraversate non erano affatto terre da depredare senza rispetto, ma intrecci di popoli e culture diversi da incontrare e da cui apprendere. Gli autori che fino ai primi anni Novanta del secolo appena conclusosi liquidavano i loro resoconti come strumenti di penetrazione funzionali al Colonialismo non compresero che se qualche via essi aprirono fu quella – come per me e per la Berton – “della conoscenza di un mondo diverso dall’Occidente, un mondo in cui entrare rispettosamente, in punta di piedi, non secondo regole di convenienza, ma piuttosto di giustizia” (3). 1) Berton, Op. cit., p.293. 2) Billie Melman, Women’s Orients, Michigan, The University of Michigan Press, 1992, p.1. 3) Berton, Op. cit., p.298. Clicca per leggere brani del libro |